LA SPIRITUALITA’ RUSSA TOMAS SPIDLIK
Esiste una spiritualità russa?1
Il patriarca Nicon, la cui riforma liturgica nell’anno 1652 fu occasione di uno scisma in seno alla Chiesa di Mosca, dichiarò: Sono russo di nazione ma greco di fede”. Solov’ev si chiede se non fosse del tutto naturale l’obiezione dei suoi avvrsari: “Perchè non essere russo anche di fede”? In realtà, scrive Solov’ev, doveva essere semplicemente cristiano2.
Inoltre nel termine “spiritualità russa” vi sono due parole che ambedue possono divenire equivoche. Che cosa significa l’aggettivo “russo”? Il grande Impero degli zar comprendeva gli Ucraini, i Bielorussi, e anche dei POlacchi, dei Finlandesi, senza contare i piccoli popoli russificati e i territori annessi dopo le guerre.
Il relativismo, in questa occasione, trovadunque numerose applicazioni.
Ancora più problematica risulta la voce “spirituale”. La spiritualità, nel senso pieno e autentico, denota, come è stato sostenuto in Oriente, la presenza dello Spirito Santo, il quale, come Dio, non conosce differenze fra greci, ebrei o altri popoli (cfr. rom. 10, 2). Se già le scienza e i veri beni culturali sorpassano i limiti stretti delle nazioni, tanto più universale deve essere il messaggio cristiano indirizzato a tutto il mondo.
Eppure in questa obiezione, possa essa apparire nobile, disinteressata, o elevata sopra i nazionalismi, si nasconde la più grande eresia con la quale la Chiesa ha dovuto lottare fin dall’inizio della sua esistenza: lo gnosticismo, che riduce la rivelazione a semplici idee astratte. Come Gesù stesso è il Logos incarnato in una certa circostanza di luoghi e di tempi come figlio di una determinata nazione , così anche lo Spirito Santo “s’incarna” nella vita dei diversi popoli e ad essi si rivela. Ogni nazione porta così il suo contributo al progresso della rivelazione.
I Russi entrarono sulla scena del mondo cristiano dopo i sette concili ecumenici, quando già i grandi problemi dogmatici e spirituali si consideravano risolti. Essi stessi si chiamrono “operai dell’ultima ora”.
La loro Chiesa si considerava come figlia chiamata a conservare ciò che la famiglia universale cominciava a dissipare. Questa fedeltà alla tradizione tornò a svantaggio dei Russi presso gli studiosi della spiritualità. Essi trovarono gli autori slavi poco originali, epigoni secondari dei grandi Padri greci. soltanto in tempi recenti si è cominciato ad apprezzare il loro vero valore. Un popolo che da dieci secoli vive intensamente la fedeè necessariamente creativo e porta un contributo alla Chiesa universale. La questione è di rendersi conto del suo carattere particolare. Perciò vogliamo in queste poche righe, mettere in rilievo le note più caratterizzanti.
Il tradizionalismo
La Chiesa russa, si dice spesso, è una delle più tradizionaliste. La coscienza di avere conservato nella sua purezza la fede ortodossa è rimasta costante in Russia, soprattutto dopo la caduta di Costantinopoli. Allo stesso tempo, di fronte a delle esagerazioni, come quelle del raskol, si doveva meglio specificarne il valore delle forme della vita religiosa trasmesse dagli antichi. Il tradizionalismo russo appare sotto le luci diverse a seconda del significato che si dà al termine “tradizione”.
Nel senso più semplice, e anche più ingenuo, la tradizione viene identificata cogli scritti dei santi Padri. Ne segue, come conseguenza pratica, una enorme stima per i libri spirituali. Questa tendenza è stata a lungo preominante in Russia3. tutto ciò che era scritto dagli uomini spirituali riceveva il nome di “Divine scritture”. Cercare al perfezione, scrive Nilo Sorskij (m. 1508), non significa altro che “vivere secondo le Sacre Scritture e seguire i santi Padri”.
Ma questa concezione “libristica” della tradizione è stata radicalmente coretta nella teologia russa a partire dallo slavofilismo. Il suo principale protagonista A.S.Chomiakov (m. 1860) ha messo fortemente in rilievo il ruolo del “popolo di Dio”, delle tradizioni familiari e della funzione delle madri cristiane per la vita di fede. In questa linea V. Losskij propone la seguente definizione della tradizione: “la vita della Chiesa alla quale ognuno dei suoi membri partecipa secondo la sua misura”4.
Se si argomenta che il periodo dei sette concili ecumenici è chiuso, P. Evdokimov aggiunge, con un’interpretazione suggestiva: “La Chiesa appare come un perenne concilio esteso nello spazio e nel tempo, qualche volta attualmente convocato, ma sempre in azione, allo scopo di rendere esplicita la verità che essa porta nella sua tradizione”5.
La “tserkovnost’”
Dal momento che la tradizione si identifica con la vita nella Chiesa, il senso della Chiesa acquista un ruolo particolare nella vita spirituale. Il termine tserkovnost’ è diventato tradizionale nel pensiero russo. Non è facile da tradurre, a causa delle sfumature di senso che contiene6. Dal punto di vista morale, può significare l’importanza della disposizione dei fedeli a sottomettersi docilmente all’insegnamento e al governo ecclesiatico. E’ naturale che l’insistenza esagerata su questa obbedienza docile alle istituzioni e alla gerarchia provochi delle reazioni. All’Accademia ecclesiastica di Kiev, Skovoroda ha manifestato la sua ostilità verso le istituzioni ortodosse, e dopo di lui molti altri, al punto che all’inizio del XIX secolo la Chiesa era in una situazione desolante: privata, da una parte, della sua piena libertà spirituale in uno stato autoritario, essa era, d’altra parte, senza difesa di fronte agli attacchi e alle critiche degli intellettuali. In un modo certo un po’ schematico, coloro che la criticavano da un punto di vista religioso si dividevano in due gruppi: 1) coloro che nelle loro critiche alla Chiesa ortodossa russa erano giunti fino al limite della fede cristiana e anche al di là; 2) coloro che ricavavano le loro critiche dalle sorgenti del cristianesimo per aprire alla Chiesa orizzonti nuovi. A questo secondo gruppo appartiene A. S. Chomajakov che ha inaugurato una nuova epoca nella storia del pensiero teologico aprendo la fase della riflessione ecclesiologica7.
Il termine chiave della ecclesiologia russa da quel tempo è la sobornost’8, approssimativamente tradotto come “collegialità” e che suppone lo spirito di conciliarità, lo spirito comunitario, l’unione del popolo di Dio, l’unione dell’amore e della libertà che non proviene dalle garanzie esteriori della gerarchia e delle istituzioni, ma dà a loro il vero significato.
Chomjakov fu accusato e viene talvolta ancora oggi interpretato come se volesse negare ogni autorità esterna e predicasse la piena democratizzazione della Chiesa. Florenskij indica la sorgente di queste obiezioni. Egli pensa che la concezione dell’amore e della libertà in Chomjakov sarebbe rimasta a livello “morale”, dunque semplicemente umano. Livello, questo, che non permette di risolvere le contraddizioni e superare l’antinomia fra l’autorità e la libertà. Infatti, dice Florenskij, solo lo Spirito di Dio può garantire la vera unità interiore della Chiesa e formare il “popolo” come corpo di Cristo9. Allora il consenso del popolo di Dio come tale, nota Evdokimov, “non è democratico, non è la volontà di tutti, ma esprime la volontà comune della conformità alla verità, il miracolo permanente della Chiesa: il totus Christus perpetuato”10.
La spiritualità monastica
“Una via sicura per comprendere la spiritualità ortodossa – scrive P. Evdokimov – è accostarla attraverso il monachesimo che ha avuto una parte primaria nella sua formazione e caratterizzazione perfettamente omogenea”11. Ma non è questo in contraddizione con il ruolo primario del “popolo di Dio” appena menzionato? L’autore non lo crede. “Infatti, vi è una sola spiritualità per tutti, senza alcuna distinzione tra clero, monaci e laici…. L’Ortodossia non ha mai conosciuto una distinzione tra i precetti e i consigli evangelici; il Vangelo nella assolutezza e nella totalità delle sue esigenze si rivolge a tutti e a ciascuno. Alla luce perciò del monachesimo, alla scuola ascetica e pedagogica, è necessario ricercare i fondamenti della pietà ortodossa”.
Dopo i periodi di grande fioritura e dopo la decadenza del secolo XVII, il monachesimo russo ebbe un rinnovamento nel secolo seguente, quando nei conventi russi tornò consapevolmente oin auge la paternità spirituale, detta starcestvo, “istituzione degli anziani”12. In esso possiamo vedere una prova storica della validità dell’esperienza monastica antica e sempre nuova: soltanto sotto la guida personale di un padre veramente “spirituale”, nel pieno senso della parola, portano frutti sia la fedeltà alle forme antiche sia la tendenza continua a superarle.
1 Cfr. T. Spidlik, I grandi mistici russi, Roma 1977; Id., La spiritualità russa, Roma 1981; Id., L’idée russe. Une autre vision de l’homme, Troyes 1994; trad. italiana, Roma 1995